Erbario Gardoni
Noi, al nostro erbario di Luigi Gardoni, vogliamo tanto bene.
Ma soprattutto vogliamo bene a lui, a Luigi, al farmacista ottocentesco, al catalogatore un po’ improvvisato, all’accumulatore compulsivo di piante e alla sua impresa un po’ molto folle di avere un pezzo, una parte, un esemplare di qualsiasi pianta possibile.
Vogliamo bene alle sue liste di spese per funerali di famiglia (precise al centesimo) che infilava tra le foglie essiccate, ai ritagli di giornale di due secoli fa con le loro bizzarre lettere al direttore e le pubblicità da imbonitori, vogliamo bene alle note “sono le sei e vado a casa” vergate col pennino direttamente sulla carta degli specimen, vogliamo bene alle pagine manoscritte con i suoi temi farmaceutici sugli usi del lino, della piantaggine e del laudano e vogliamo bene a lui – nonostante la barbarie del gesto – anche quando ritagliava o strappava illustrazioni da libri veri. Le abbinava alle sue piante o addirittura diventavano un segnaposto per le specie che non riusciva a reperire.
Ma soprattutto, gli vogliamo bene quando il momento della follia lo rapiva, obbligandolo a scrivere Malva sylvestris al contrario, come se già allora volesse obbligare noi oggi, duecento anni dopo, a diventare partecipi del suo tribolare botanico, lasciandoci scervellare una mattina intera fino a capire che quei fogli lì vanno letti allo specchio.