Non mettere in bocca la pianta del mal di denti!
“Non mettere niente in bocca!” è regola aurea negli orti botanici, perché non si sa mai cosa potrebbe capitare. In fondo, da milioni di anni le piante fanno di tutto per non farsi mangiare e lo conferma l’infinita lista di veleni vegetali disponibili per gli aspiranti killer, così come il tassametro sempre in corsa nel numero delle intossicazioni a carico dei più incauti. La stessa passione chimica di erbe e alberi ci regala però un’ampia fetta di esperienze gastronomiche, spesso inaspettate e inusuali, che fanno capolino anche durante una passeggiata qui in Orto.
Sarà capitato a tutti di rimanere seduti a gambe accavallate per lungo tempo. Oppure di addormentarsi con un braccio schiacciato. A un certo punto l’arto ha perso sensibilità e al risveglio lo avete trovato intorpidito, anestetizzato, insensibile al punto da farvi esclamare: “Mi è morto un braccio!” Dopo pochi istanti però si accende una simultanea punzecchiatura di migliaia di aghi, un formicolio pungente che percorre la pelle come un’ondata elettrica che come un cocktail è fatta da più parti: un po’ di fastidio, un pizzico di piacere e tanta sorpresa. Questa esperienza ha un nome preciso (parestesia) e un legame diretto con due piante presenti qui in Orto, un arbusto del genere Zanthoxylum e una parente della camomilla del genere Spilanthes.
Per non essere mangiate accumulano in frutti e capolini sostanze capaci di mandare in tilt i sensori che nella nostra bocca raccolgono segnali di tipo fisico per tradurli in allarme. Servono ad esempio a ritrarci quando tocchiamo un oggetto troppo caldo o troppo appuntito.
Tutte e due hanno un nome popolare che invita proprio a metterle in bocca: “pianta del mal di denti”, perché la sensazione che generano riduce temporaneamente il dolore anestetizzando nervi e gengive. Oggi invece dovremmo chiamarle “spezie elettriche”, perché il pizzicore (chiamato tingling) e l’ondata di saliva che producono sono sfruttate in gastronomia dai bartender più sperimentali o dalla cucina cinese, che usano Zanthoxylum e Spilanthes per cocktail, stufati e zuppe. Le sostanze che mandano in cortocircuito sensoriale labbra, lingua e palato mandano al cervello un “urlo” che inizia circa un minuto dopo la masticazione e che scompare dopo dieci.
Se proprio osate e assaggiate contravvenendo alla regola aurea degli orti botanici, tenete vicina dell’acqua da bere, dopo pochi istanti l’effetto svanirà.