Equiseti musicali

Qui le piante raccontano storie e quella di oggi porta in due luoghi diversi. Uno è lontano nello spazio e l’altro è lontano nel tempo. Il primo è il Giappone odierno e l’altro a Cremona tra il 1600 e il 1700. A unirli due cose: l’equiseto e i liutai. Che a loro volta hanno come unico grado di separazione un composto di solito abbinato all’elettronica: il silicio.

La fotografia qui a fianco mostra alcune protuberanze, che corrono parallele lungo i fusti di una pianta antica e comune in fossi e campi. Non produce fiori ed è più o meno uguale a come era ai tempi dei dinosauri; a conferma di come l’espressione “meno evoluto” in natura non significhi “inferiore” se la cava ancora egregiamente.

Sulla sua superficie è difficile trovare insetti intenti a mordere, brucare o trapanare e la ragione è rivelata da ingrandimenti ancor maggiori di quello qui usato. L’epidermide dell’equiseto è corazzata da uno strato irregolare, corrugato e spinoso di silicio, che la pianta assorbe dal suolo, discioglie nella sua linfa e deposita esternamente creando un rivestimento ostico per molti potenziali rivali, che si trovano con denti rotti e pungiglioni ammaccati. Come un soldato rinascimentale, l’equiseto si protegge dai nemici con un’armatura rocciosa di silicio minerale.

Dove sono Giappone, Cremona e i liutai? Ancora oggi alcuni ebanisti del Sol Levante ammorbidiscono i fusti di equiseto in acqua, disponendo poi la parte esterna su un sostegno da usare come finissima carta vetrata per le ultime finiture. Lo stesso, stando alle cronache, faceva Stradivari nella lavorazione dei suoi strumenti.

“Per la finale levigatura, che avverrà a cassa chiusa, Stradivari si serviva di pelle di palombo o squalo di sabbia e di asprella (equisetum, un erba abrasiva che cresce abbondante nei terreni umidi lungo i fiumi o i canali, detta comunemente coda di cavallo).” Così scrive Simone Sacconi in “I “segreti” di Stradivari”, ricordando che uno dei nomi popolari dati a questa pianta è “rasperella”, a ricordo di una funzione abrasiva che finisce nell’artigianato più nobile partendo da un’esigenza ecologica delle piante.