L’erbario ikebana
Esistono molti tipi di erbari e non tutti hanno la forma regolare e rigorosa tipica di quelli scientifici. Ne esistono alcuni in cui l’animo di chi li ha creati, la sua indole e la sua vita si manifestano in tutta la loro umanità, ovvero chi li osserva può ritrovare in bella vista proprio quei tratti soggettivi che per sua natura la scienza deve limitare e filtrare.
Ad esempio, questa fotografia viene da uno degli erbari più soggettivi tra quelli ospitati qui in Orto, quello allestito tra gli 11 e i 13 anni di età dalla contessa Albertina Sanvitale, figlia della Duchessa di Parma Maria Luigia. È costituito da frammenti di piante essiccate, fissate a doppi fogli con filo e sistemati fra due cartoni a forma di volume. A differenza dei “veri” erbari non riporta la determinazione botanica delle specie ma solo la località di raccolta in lingua francese assieme a riferimenti a monumenti, strade e personaggi incontrati dalla bambina durante i viaggi fatti assieme alla madre tra il 1828 e il 1830, attraverso Svizzera, Germania e Italia .
Anche per questo, più che di un’educazione alla botanica scientifica, ci racconta di un’educazione alla bellezza formale, all’eleganza di certi abbinamenti e alla scoperta del mondo. Le piante non sono da sole in ogni foglio, ma sono state combinate selezionando solo alcuni fiori e certe foglie prese da specie diverse, disposte poi a creare composizioni estetiche molto raffinate. Non a caso, tutte le volte che lo si sfoglia, il riferimento che sorge non è all’erbario scientifico ma a una pratica per quei tempi molto lontana dal punto di vista geografico e culturale: l’ikebana.
Se nella pratica giapponese il fulcro è il vaso, qui la stessa funzione è assolta dal foglio di carta, ma il legame tra disposizione dei vegetali e realizzatore è il medesimo così come il messaggio: una forma di educazione alla natura che cerca di stabilire e mantenere un rapporto intimo col mondo circostante. Il termine ikebana deriva dalla fusione di due parole giapponesi che indicano il fiore e il “lasciare in vita”. Erbari come questo ci aiutano forse poco in termini scientifici ma permettono di rivedere bambini di tanto tempo fa impegnati a scoprire la vita che li circonda, suggerendo che le stesse emozioni possono essere vissute anche oggi da altri bambini (anagraficamente tali o meno).
E l’equilibrio instabile tra emozione umana e rigore scientifico, è una cosa che ci piace molto.