Radici Migranti
Nel 2020 Alexandre Antonelli, direttore dei Royal Botanical Gardens di Kew, è stato tra i primi a mettere in agenda la necessità cambiare le modalità narrative sul passato coloniale degli Orti Botanici. Questa azione, che si lega ad analoghe sensibilità in altri ambiti, testimonia una natura spesso trascurata di queste strutture. Si tratta infatti di parchi ma anche di laboratori, aule a cielo aperto ma anche foreste urbane, porte usate dal colonialismo per arricchire gli imperi ma anche santuari della biofilìa e piattaforme di scambio uniche tra scienza e società. Nel loro agire è insita quella stessa metamorfosi propria delle piante che ospitano: il loro scopo, negli ultimi 500 anni, è cambiato più volte e si sta ulteriormente evolvendo sotto ai nostri occhi, fino a divenire laboratorio di nuove relazioni tra uomini e natura, tra culture e scienze. In questo, la loro natura di ponte tra ecosistemi e continenti non si limita agli aspetti vegetali estendendosi a quelli sociali.
Lo stesso disegno ha guidato l’Orto Botanico di Parma nella collaborazione con gli studenti dell’Istituto Turistico Gianbattista Bodoni diretto da Elisabetta Mangi con il fondamentale supporto di Erika Martelli: gli studenti sono spesso nati in Italia ma le loro famiglie arrivano dalla Russia, dal Maghreb, dalla Moldavia, dalla Spagna, dalla Polonia, dall’Albania, dal Sud America e la loro cultura multilinguistica è la leva perfetta per estendere i compiti degli Orti Botanici: da repertorio enciclopedico della botanica universale, l’Orto diventa il punto di partenza per approfondire i viaggi che le piante hanno percorso per arrivare fino a noi per scopi scientifici, utilitaristici o estetici, per destabilizzare ed arricchire con la loro presenza il nostro patrimonio di saperi.
I ragazzi hanno potuto verificare quanto la nostra conoscenza della natura e i presupposti scientifici della nostra società debbano ad altre culture, riflettendo sul rapporto uomo\natura e uomo\scienza in un luogo in cui la dimensione museale si deve integrare con quella dell’accudimento e dell’accoglienza di specie vegetali provenienti da climi diversi e con esigenze molto differenti tra loro. Hanno anche scoperto che le radici di cui si parla in termini identitari sono anche elementi dialogici, mutevoli, persino volatili e dipendenti dall’aria oltre che dalla terra. Da questa evidenza scientifica emerge una riflessione sull’uomo: forse non siamo solo noi a migrare di continuo in cerca di luoghi più prosperi ma tutti gli elementi biologici, basta solo saperli osservare.
Gli esseri umani, come semi e frutti, si muovono e trovando la via migliore per mettere radici e relazionarsi con un territorio nuovo. Ecco allora che l’Orto diviene, come direbbe Gilles Clément, il luogo in cui si preserva un “imprevedibile”, consono al racconto di studenti di quindici o sedici anni che vivono a pieno il senso racchiuso tra quelle virgolette. Il titolo del progetto deve un po’ a Edouard Glissant di cui l’Università di Parma ha approfondito la figura in occasione della laurea ad honorem al suo caro amico Patrick Chamoiseau, ma deve anche molto al bellissimo saggio del filologo Maurizio Bettini, Contro le radici (2016), che i parmigiani conoscono per la lunga collaborazione, resa attuale dal lavoro sul mito del dicembre dello scorso anno, con il Teatro Due. Le radici come vettori di movimento, come affacci del Sé sul futuro, come elementi ibridi, comunicanti, costruttrici di nuove comunità. Nelle voci di Roxanne e Sofia, di Rodrigo e Gaia scopriremo piante che si alleano, che si allertano dei pericoli, storie di piante che vengono rubate o donate per guarire da epidemie, che regolano le loro fioriture in base a nuovi climi, che si stratificano per ottimizzare l’accesso alle risorse.
I racconti degli studenti animeranno le visite durante l’apertura straordinaria dell’Orto Botanico in occasione di Interno Verde (7-8 Maggio) e resteranno, grazie alla collaborazione di Edicta, a disposizione in formato video sul sito dell’Orto per guidare i visitatori durante l’estate. Le “radici migranti” del titolo non sono solo lì per ricordarci che anche le piante migrano, come ricorda meravigliosamente il Ginkgo che accoglie i visitatori all’entrata dell’Orto o che il cambiamento climatico influenza con forza queste migrazioni; stanno lì ricordarci che l’occhio dello scienziato sul mondo non può non essere nutrito di autocritica, immaginazione e apparenti dissonanze.