Si richiude!
Durante il Medio Evo il mondo laico e quello religioso coltivavano, nella mente e con le zappe, il concetto e la pratica dell’hortus conclusus. Un luogo verde, recintato da mura che lo isolavano dal resto del mondo, una sorta di fortino verde in cui blindare valori e pensieri da un esterno considerato dannoso, malvagio e contaminato dall’impurezza. Il muro segnava il dentro e il fuori: trasmetteva un’idea di protezione, tenendo oltre la porta quel che non era percepito come amico, come quiete, come cultura, crescita, serenità, miglioramento.
Nella poetica del giardino che cementa i mattoni di quelle mura fisiche e mentali, si riteneva che solo nello spazio inaccessibile la natura ritrovasse la sua condizione di originaria purezza. Come se l’uomo fosse solo un agente perturbatore, pernicioso e distruttore anziché parte integrante delle dinamiche naturali, con le quali deve scendere a patti e nelle quali deve imparare a muoversi con garbo.
Da oggi il nostro orto è di nuovo chiuso per giusti motivi e le mura che lo circondano terranno ancora per qualche settimana lontani i visitatori, ma il lavoro all’interno non resterà fermo.
Ragioniamo sulle nuove piante da mettere a dimora, mettiamo la collezione di ciclamini al riparo da disavventure, togliamo le foglie secche dai primi fiori che fanno capolino, scriviamo nuovi pannelli per raccontare storie, tracciamo i confini di nuove aiuole, guardiamo gli alberi più vecchi per capire come accudirli meglio, revisioniamo i nuovi cartellini per fare più ordine.
Pensiamo a come usare le piante per rompere tutti quei muri del pensiero che costruiamo nelle nostre teste e che – loro, sì più di una chiusura – ci ostacolano lungo la strada verso cultura, crescita, serenità, miglioramento.